Per influenza della cultura greca, il marmo venne considerato nella Roma antica un materiale particolarmente pregiato e man mano che nuovi territori venivano conquistati ne iniziarono a Roma le importazioni. Gli alti costi dovuti al trasporto da cave spesso lontane dal luogo di impiego lo resero inizialmente un materiale di lusso, il cui utilizzo per i monumenti pubblici, o per le ricche decorazioni delle superfici interne delle dimore private.
In epoca repubblicana i primi templi costruiti interamente in marmo bianco (II secolo a.C.: tempio di Ercole Vincitore nel Foro Boario, tempio di ) utilizzavano marmi importati dalle cave greche, accompagnati probabilmente da maestranze in grado di eseguirne la lavorazione (la Grecia era divenuta provincia romana nel 146 a.C.) e nelle intenzioni dei committenti, dovevano impressionare il "pubblico" con l'uso massiccio di un materiale tanto costoso e culturalmente significativo.
Contemporaneamente iniziò l'importazione di alcune varietà di marmi colorati (tra i più diffusi il "giallo antico", l'"africano", il "paonazzetto", il "cipollino"), che vennero utilizzati, e in mosaici e poi in grandi lastre, per i rivestimenti parietali e pavimentali degli interni delle ricche dimore patrizie
Le cave dei marmi più importanti divennero progressivamente tutte di proprietà imperiale e una accurata organizzazione della lavorazione e dell'approvvigionamento verso Roma, permise una capillare diffusione dell'uso delle principali varietà in tutte le città dell'impero romano. La proprietà imperiale delle cave assicurava la disponibilità dei materiali necessari nei grandi programmi di edilizia pubblica, mentre il surplus veniva rivenduto per l'uso privato. Si diffusero in particolare le lastre per il rivestimento delle pareti interne e dei pavimenti, e i fusti di colonna in diversi marmi colorati, che arricchivano gli spazi interni dei monumenti pubblici e delle case più ricche.
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